Tra i silenzi millenari del Parco Nazionale della Maiella, là dove la roccia si piega alla volontà del tempo e dello spirito, Giuliana Di Felice ha intrapreso un cammino carico di storia e bellezza. La sua visita all’Eremo di San Bartolomeo in Legio, incastonato nella parete rocciosa del Vallone dello Spirito, tra i borghi di Abbateggio e Roccamorice, è stata un’esperienza intensa e immersiva, capace di parlare tanto all’anima quanto ai sensi.
«L’Eremo di San Bartolomeo in Legio è situato nel Parco Nazionale della Majella, tra i borghi di Abbateggio e Roccamorice. È un eremo molto suggestivo, posto sulla parete rocciosa del Vallone dello Spirito, in cui scorre il torrente Capo La Vena», racconta Giuliana, descrivendo un luogo che sembra sospeso tra terra e cielo, dove la spiritualità si fonde con la maestosità naturale.
Per raggiungere l’eremo, il sentiero si snoda tra ginestre, lecci e profumi di resina, regalando panorami che si aprono improvvisi sulle valli sottostanti. È un percorso che impone rispetto: non solo per la fatica, ma per l’intimità del luogo che si va a visitare. San Bartolomeo, eremita e predicatore, qui trovò rifugio nel XIII secolo, e ancora oggi il suo spirito sembra abitare la rupe scolpita, protetta da secoli di silenzio.
Giuliana racconta con emozione l’ingresso nell’eremo, quasi mimetizzato nella pietra. Le piccole celle, la chiesetta scavata nella roccia e l’altare sono segni di una devozione antica, sopravvissuta al tempo. La vista, da lassù, è struggente: il torrente Capo La Vena scorre quieto più in basso, come un filo d’argento che cuce la valle al cielo.
La giornata si è conclusa con un momento di sosta, in ascolto del vento tra gli alberi e del gorgoglio dell’acqua. «Un luogo dell’anima», lo definisce Giuliana, «in cui la natura e la fede parlano lo stesso linguaggio».
L’eremo di San Bartolomeo in Legio non è solo una meta escursionistica: è un invito alla lentezza, alla contemplazione, alla riscoperta di sé. Un patrimonio spirituale e paesaggistico che l’Abruzzo custodisce con orgoglio, e che, grazie a viaggiatori sensibili come Giuliana Di Felice, continua a vivere nel cuore di chi lo attraversa.
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