Nel silenzio sacro dei boschi della Maiella, dove la luce filtra come un sussurro tra le fronde, si erge una “creatura di pietra”: la Grotta Cerrone. Non è solo una cavità nella roccia, ma un volto antico, un totem scolpito dal tempo e dai miti, che osserva il mondo con un solo occhio aperto sull’invisibile.
Nell’immagine catturata da Marydig Basile, la grotta si trasforma in un essere primordiale. La sua apertura buia pare la bocca di un gigante silenzioso, mentre una piccola cavità laterale – profonda, misteriosa – diventa un occhio solitario che scruta chiunque osi avvicinarsi. È un guardiano, forse, o un dio dimenticato, rimasto incastonato nella pietra a vegliare sul cuore selvaggio dell’Abruzzo.
Attorno a lui, il bosco si inchina. Gli alberi sembrano sapere, le foglie bisbigliano storie che l’uomo ha smesso di ascoltare. Tutto in questo luogo parla un linguaggio arcaico, fatto di vento, muschio e silenzi. Le incisioni sulla roccia – segni lasciati da mani curiose o devote – non fanno che amplificare il senso di mistero. Chi ha osato lasciare il proprio nome qui, ha forse cercato di essere ricordato da ciò che eterno lo è già.
Guardare questa foto è come aprire un passaggio tra il reale e l’onirico. Lì, nella luce verde del sottobosco, la pietra prende vita. Non si sa se stia per parlare o se abbia appena terminato un lungo racconto sussurrato a chi ha il cuore abbastanza quieto da ascoltare.
La Grotta Cerrone non si visita soltanto: si incontra. E quando lo si fa, non si torna mai esattamente gli stessi. Perché l’occhio del gigante, una volta che ti ha visto, resta con te.
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