C’è un momento, appena prima che la notte si posi lieve sulle vette silenziose, in cui il borgo di Opi si accende di una bellezza disarmante.
La fotografia che ci regala Roberto Pierobon è una carezza per l’anima, un frammento di luce che racconta un tempo sospeso, dove tutto sembra sussurrare storie dimenticate.
Siamo nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, là dove la natura domina ancora sovrana e il respiro dell’antico si intreccia con quello dei monti. Opi, con le sue case abbarbicate al fianco della montagna, si presenta come un piccolo presepe di pietra, disegnato dalla mano sapiente del tempo. Ogni finestra illuminata, ogni lampione acceso lungo il pendio, è una nota musicale in una melodia che celebra la quiete.
In primo piano, la casa dal volto di pietra e mattoni racconta una quotidianità semplice, ma vibrante. Una luce calda filtra da una porta socchiusa, come un invito a entrare, a lasciarsi avvolgere da storie familiari e profumi antichi. Dietro, il borgo si arrampica dolcemente, come se volesse raggiungere le ultime luci del giorno, prima che il blu profondo della sera lo avvolga del tutto.
Il cielo, ancora chiaro, regala uno sfondo che amplifica la magia dell’istante: è l’ora blu, quella in cui ogni cosa sembra più vicina al cuore. Le mura ciclopiche della fortificazione sembrano dormire, custodi di un tempo che non passa, di un silenzio che consola.
Guardando questa immagine, si comprende che Opi non è solo un luogo: è uno stato d’animo. È il bisogno di lentezza, il desiderio di ascoltare il silenzio, di perdersi per ritrovarsi. Qui, ogni pietra parla di un passato che non vuole essere dimenticato, e ogni luce accesa è una promessa: quella che la bellezza, quella vera, esiste ancora.
Grazie, Roberto, per aver catturato l’incanto.
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