In Basilicata, tra le dolci colline e i silenzi carichi di storia, si cela un luogo che pare uscito da un racconto antico: Pietragalla. Non siamo nella Contea degli Hobbit, come dice l’autrice della foto Maria Lucia Sforza, anche se il paesaggio, costellato di grotte e porte di pietra, potrebbe farlo credere. Qui, a due passi dal centro storico del borgo, si estende il Parco Urbano dei Palmenti, un unicum architettonico e culturale che racconta il profondo legame tra la comunità locale e l’arte della vinificazione.
Cosa sono i Palmenti?
I palmenti di Pietragalla sono vasche scavate nella roccia, utilizzate per secoli nella trasformazione delle uve. Questo straordinario complesso rupestre era il cuore pulsante della produzione vinicola del paese: nelle vasche avvenivano la pigiatura e la fermentazione del mosto, secondo pratiche tramandate di generazione in generazione. Un processo semplice e insieme sapiente, che sfruttava la morfologia del territorio e la forza della natura.
Terminata la fermentazione, il vino veniva raccolto e trasportato in botti di legno fino alle cantine ipogee, anch’esse scavate nella roccia sotto le case del borgo. Questi ambienti sotterranei, freschi e umidi, erano ideali per la conservazione del vino. Colpisce, nei palmenti, la presenza di una piccola apertura sopra la porta, una soluzione tanto ingegnosa quanto necessaria: serviva infatti a consentire la fuoriuscita dell’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione, garantendo la sicurezza e la buona riuscita del processo.
Ora simbolo dell’identità lucana
Oggi il Parco dei Palmenti non è solo un luogo della memoria, ma un simbolo dell’identità lucana, testimonianza viva di un rapporto antico e rispettoso tra l’uomo e la terra. Passeggiare tra queste cavità e sentieri scavati nel tufo significa ripercorrere la storia di un popolo che ha saputo trarre ricchezza dalle risorse del proprio territorio, con intelligenza e rispetto.
Pietragalla, con il suo parco rupestre, offre al visitatore un’esperienza autentica, capace di evocare tempi in cui il ritmo delle stagioni dettava la vita delle comunità e il vino era molto più di un prodotto: era cultura, lavoro condiviso e spirito di festa. Un angolo di Basilicata che, pur senza magie né creature fantastiche, sa incantare come la miglior fiaba.
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